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Diario della Grande Guerra - a cura di Daniele Furlan

Il ruolo delle donne durante la Prima Guerra Mondiale

lun 09 mar 15

L'assenza di molti uomini chiamati a combattere contro l'esercito austro-ungarico provocò delle conseguenze molto pesanti a livello economico e sociale. La gran parte dei nuclei famigliari erano di origine contadina, legati alle consuetudini e alle tradizioni di un tempo: i membri maschili avevano il compito di lavorare fuori dalle mura domestiche mentre le donne eseguivano le proprie mansioni all'interno, accudendo i figli e sbrigando le faccende di tutti i giorni. Le cose non erano molto diverse nemmeno per le famiglie "operaie" dove l'unica differenza era l'impiego degli uomini nelle fabbriche anziché nei campi.
Una situazione che mutò profondamente nel 1915. I posti di molti contadini ed operai furono lasciati vuoti e vennero coperti da chi era restato e non sarebbe mai stato chiamato al fronte: le donne. Si trattò di un momento molto importante per la storia sociale del Paese. Il loro ruolo, per la prima volta, passò da "angelo del focolare domestico" a membro attivo dell'economia e della società collettiva. Non che le donne fossero del tutto nuove a questo tipo di esperienza: molte di loro erano già abituate a contribuire al lavoro nei campi mentre, a livello industriale, la loro presenza era già stata ampiamente registrata nel settore tessile. Ma in quel periodo il loro numero aumentò considerevolmente e furono presenti in settori del tutto nuovi come la metallurgia (riconvertita alle esigenze belliche), la meccanica, i trasporti e mansioni per loro del tutto inedite, come quelle di tipo amministrativo e burocratico, gli acquisti o le vendite di prodotti agricoli, la risoluzione di problemi di natura legale, la guida di autobus e tram, e la consegna della posta. Ovviamente questo processo non fu indolore: non essendo state previste delle divisioni del lavoro, le donne erano obbligate a compiere gli stessi lavori dei colleghi maschi, anche quelli più pesanti. Nei campi era necessario spostare i covoni di fieno o i sacchi di grano, accudire il bestiame e utilizzare tutte le macchine agricole. Allo stesso modo all'interno delle fabbriche, per lo più impegnate nella produzione bellica, le donne erano soggette a turni di lavoro massacranti, a disciplina militare e a rigidi controlli nei reparti degli stabilimenti ove dovevano sollevare pesi non indifferenti e compiere gesti ripetitivi e meccanici.
A questa sorta di "emancipazione" lavorativa non corrispose però una maggiore libertà a livello personale: nonostante l'assenza degli elementi maschili in età arruolabile, spesso nelle case rimanevano gli anziani, i quali, come da tradizione, continuavano ad esercitare il loro ruolo autoritario all'interno della famiglia. Inoltre non mancavano le diffidenze e gli atteggiamenti di rifiuto da parte dei moralisti e tradizionalisti, nelle fabbriche metalmeccaniche la presenza femminile era talvolta avvertita, specialmente dai vecchi operai, come un sovvertimento dell'ordine naturale e un attentato alla moralità. Un modo di pensare che peggiorò col tempo, quando le ragazze più giovani, sempre più spesso, si spostarono dalla loro casa per trovare un'occupazione.
Purtroppo però le donne sarebbero state costrette a pagare un prezzo ancor più caro durante l’ultimo anno di guerra, quando a seguito della rotta di Caporetto le zone di confino, come il Friuli e parte del Veneto, vennero invase ed occupate dall'esercito asburgico. Nel clima di “guerra totale”, quale fu il primo conflitto mondiale, in questa parte d'Italia orientale, ben 250.000 civili furono costretti a fuggire e 900.000 rimasero confinati in un regime di occupazione militare che durò un anno intero e fu caratterizzato da saccheggi e violenze in quasi tutti i territori. Fra queste violenze, alcune da sempre sottaciute da parte della storiografia ufficiale, ovvero gli stupri dei soldati nemici nei confronti delle donne rimaste, mentre i giovani uomini erano al fronte e i vecchi e gli adolescenti spesso arrestati ed inviati nei campi di concentramento in Boemia o Austria. Nove mesi dopo Caporetto cominciarono a nascere i primi bambini ed in molti casi non si sapeva dove metterli, perché i maschi di casa non volevano tenere il “piccolo tedesco”. Spesso le donne venivano inviate a “sgravare” altrove, ma alcuni orfanotrofi rifiutavano i loro figli perché non erano dei veri e propri orfani.
Nella relazione della Reale commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, le violenze sulle donne furono qualificate come “delitti contro l’onore femminile”, così che gli stupri persero il loro aspetto traumatico e le sofferenze delle vittime passarono in secondo piano. Si consideri inoltre che l’estrema delicatezza dell’argomento consigliò di non stilare un elenco completo delle violenze, ma di limitarsi ad una raccolta delle testimonianze divise per categorie: stupri accompagnati da ferimento od omicidio, o sotto la minaccia delle armi, e compiuti nei confronti di donne anziane o bambine. È doloroso ammettere come sotto questo aspetto cent'anni sembra siano trascorsi invano, infatti vi è sempre più un parallelismo con la nostra epoca, nella quale violenze e stupri contro le donne continuano a venir perpetrati in zone di guerra e non, e soprattutto molto spesso continuano a venir colpevolmente sottaciuti.

le donne nella grande guerra



news pubblicata il lun 09 mar 15