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Autunno 1914

lun 02 feb 15


 
Mentre in Europa la guerra imperversava dal fronte occidentale a quello orientale, ed a livello mondiale iniziava a coinvolgere sempre più paesi, cosa accadeva in Italia?
Fin dal 1882 l’Italia era legata alla Germania e all’Austria-Ungheria dal patto meramente difensivo definito “triplice alleanza”. Rinnovato nel 1912, il patto non vincolava in alcun modo il nostro paese ad entrare in guerra al fianco degli imperi centrali, e se a questo si aggiunge la mancanza di vantaggi evidenti nel partecipare al conflitto, ben si comprende come la linea prevalente fu quella della neutralità, i cui principali sostenitori erano l’ex capo del governo Giovanni Giolitti, insieme a gran parte del panorama politico e sociale di allora, primi fra tutti i socialisti ed i cattolici.
Eppure in questa situazione, nella quale il neutralismo sembrava dominare incontrastato, emersero le voci discordanti dei cosiddetti interventisti, favorevoli ad una guerra contro gli imperi centrali. Le ragioni di questa minoranza erano molteplici, come diversi erano i profili di chi le sosteneva. Fra questi un eterogeneo gruppo di politici, giornalisti, letterati ed artisti come Gabriele d’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti e tutti gli appartenenti al movimento futurista, i quali utilizzarono la propria arte per esaltare la bellezza della tecnica, dell’eroismo e dell’azione. La guerra per i futuristi rappresentava l’igiene dei popoli.
Sul piano pratico l’interventismo dava particolare rilievo al desiderio di portare a compimento il processo risorgimentale, ricongiungendo all’Italia le terre “irredente”: Trentino e Venezia Giulia. Tra gli irredentisti vi erano sia ferventi nazionalisti, fautori di una politica aggressiva e imperialista, sia democratici, come Cesare Battisti. I nazionalisti, che erano la componente più aggressiva del movimento interventista, vedevano nella guerra oltre al completamento del processo risorgimentale, anche un’opportunità tramite la quale l’Italia poteva imporre il proprio ruolo di potenza, e puntare al predominio italiano sull’Adriatico e i Balcani, nonché dare l’avvio ad una politica di espansione verso l’Asia e l’Africa.
Alle idee dei nazionalisti si avvicinavano cautamente anche i liberali conservatori, rappresentati dal capo del governo Antonio Salandra e dal ministro degli esteri Sidney Sonnino. Essi vedevano il conflitto come l’opportunità di aggregare le forze sociali del paese nel conseguimento di un obiettivo comune, e di conseguenza l’occasione per consolidare l’unità della nazione e rafforzare l’immagine della monarchia.
Interventisti, ma per ragioni opposte, erano invece i sindacalisti rivoluzionari per i quali la guerra avrebbe provocato un apocalittico sconvolgimento delle strutture politiche e sociali esistenti, sulle cui macerie avrebbe potuto sorgere un nuovo ordinamento sociale. Dopo una iniziale neutralità, a queste idee aderì anche Benito Mussolini, al quale la conversione all’interventismo valsero l’espulsione dal partito socialista e il licenziamento dalla carica di direttore del giornale “Avanti”.
In pratica l’Italia versava in una situazione di stallo solo apparente, perché le pulsioni interventiste, anche se minoritarie, erano ben più aggressive ed  insistenti, e avrebbero ben presto avuto ragione della maggioranza fa autrice del neutralismo.
 
 grande guerra



news pubblicata il lun 02 feb 15