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Seconda e terza Battaglia dell'Isonzo

lun 23 mar 15

Nello stesso giorno in cui si concluse la Prima Battaglia dell'Isonzo, si tenne a Chantilly, in Francia, la prima conferenza interalleata. Le autorità militari dell'Intesa analizzarono la situazione dopo un anno di guerra: il fronte occidentale era sostanzialmente immutato mentre quello russo, dopo la sconfitta delle truppe zariste a Gorlice (nel sud dell'odierna Polonia), si trovava in difficoltà. Si chiese perciò all'Italia di continuare con risolutezza l'offensiva sul suo fronte in modo da impegnare le truppe austro-ungariche, e di avanzare almeno fino a Klagenfurt e Lubiana.
Il 17 luglio la mobilitazione delle truppe fu completa, e la Seconda Battaglia dell'Isonzo, che si sarebbe svolta lungo un fronte di 36 km, venne annunciata dal Generale Cadorna per le ore 4 del giorno successivo. Obiettivo principale era il Monte San Michele, un'altura carsica a sud di Gorizia la cui sommità fu raggiunta il 20 luglio, ma l’Armata del generale Svetozar Borojevic riuscì ad organizzare un contrattacco che il giorno dopo restituì la collina agli austro-ungarici.
Più a sud, nella zona di Monfalcone, la Terza Armata Italiana subì moltissime perdite nel tentativo di assaltare il Monte Cosich, poiché le postazioni e le armi nemiche erano ben posizionate, mentre i ripari italiani non furono altrettanto efficaci. Stessa sorte nella zona settentrionale di Gorizia, dove gli assalti al Monte Sabotino, al Calvario ed alla Quota 383 di Plava fallirono totalmente.
Sull'Alto Isonzo la situazione era resa ancora più difficile dal clima, caratterizzato da fitte piogge che sui 2000 metri del Monte Nero si trasformavano in raffiche di vento ed acqua gelida. Dopo una pausa di alcuni giorni, il 14 agosto giunse l'ordine di ricominciare l'azione sul Monte Nero ed il Monte Mrzli, ma nonostante i diversi assalti, le truppe austro-ungariche respinsero l'attacco.
La Seconda Battaglia dell’Isonzo, dichiarata conclusa e fallita il 3 agosto 1915, è ricordata in particolare per gli scontri sul Monte San Michele, e perché si rivelò per l'esercito italiano il primo bagno di sangue su larga scala. Mentre nella Prima Battaglia furono messi fuori combattimento circa 15 mila uomini (3.500 morti e 11.500 feriti), questa provocò il triplo delle perdite. Il problema principale risiedeva nel modo di condurre gli attacchi da parte degli ufficiali italiani, non ancora addestrati alle nuove tattiche di guerra in trincea, e alle nuove armi comparse in questo conflitto. Gli assalti alle trincee nemiche, difese da lunghe file di reticolati, rendevano gli attaccanti facili bersagli per il fuoco delle mitragliatrici nemiche. In ogni caso la situazione non era migliore per gli austro-ungarici, costretti a combattere nelle stesse durissime condizioni. Esposti ai raid aerei italiani, non impararono a sfruttare il terreno del Carso e le sue cavità naturali per ripararsi dai bombardamenti, e subirono perdite gravissime (secondo la Relazione Ufficiale 47 mila uomini).
Le grandi perdite, le false promesse e le difficoltà sempre maggiori intaccarono da subito il morale dei combattenti, anche a causa di settimane passate in trincea, mai lontani dal nemico, continuando a ripetere degli sforzi che apparivano inutili. Inoltre la vita sul fronte era durissima, ovunque c’erano feriti e morti, le malattie proliferavano, il rancio era inadeguato, mancava l’acqua potabile, le notti erano passate sulla nuda terra e le poche ore di riposo disturbate dalle frequenti piogge.
Ma nonostante tutto l’Isonzo continuava a dominare il fronte italiano, essendo considerato un punto cruciale da tutti gli strateghi militari dell’epoca. Il generale Cadorna decise di ignorare Trieste, puntando tutto su Gorizia, ed a mezzogiorno del lunedì 18 ottobre 1915 fece scattare la “Terza Battaglia dell’Isonzo”.
L’artiglieria italiana si abbattè su circa 50 km di postazioni austroungariche da Monfalcone alle Prealpi Giulie, e ancora una volta il nostro esercito avanzò a Doberdò, San Martino e sul Monte San Michele, approfittando di un iniziale vacillare dell’esercito asburgico, il quale però ancora una volta riuscì a riorganizzarsi e riprendersi buona parte delle posizioni perse. L’offensiva venne sospesa ai primi di novembre con un bilancio assolutamente negativo: le linee austriache non furono spezzate, la porzione di territorio strappata dal nemico assolutamente irrisoria rispetto al numero delle perdite, quotate in circa 67.000 unità da parte dell’esercito italiano e 42.000 da parte dell’esercito austroungarico.
La tregua durò meno di una settimana poiché giovedì 11 novembre 1915 l’esercito italiano tentò una nuova offensiva; qualche progresso venne fatto a nord di Gorizia ma nella sostanza non cambiò nulla, se non nel numero delle perdite che si contarono in circa 75.000 uomini fra italiani e austriaci, infatti gli assalti diminuirono fino a cessare del tutto il 5 dicembre 1915. I soldati erano demoralizzati e stanchi di farsi uccidere per guadagnare pochi metri al nemico, il malumore invase le trincee acuito dalle pessime condizioni di vita dovute a razioni di cibo insufficienti, vestiti inadatti a sopportare le piogge frequenti ed il freddo sempre più intenso. Anche l’opinione pubblica iniziò a stancarsi dei continui fallimenti.
grande guerra
 



news pubblicata il lun 23 mar 15