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La 12a Battaglia dell'Isonzo

mer 13 mag 15

Caporetto (Kobarid) è una cittadina che si trova in una valle del fiume Isonzo, oggi in territorio sloveno, ma il cui nome nella lingua italiana è divenuto anche sinonimo di disfatta, resa incondizionata, sconfitta senza onore. Tutto questo poiché dopo 11 battaglie lungo il fiume Isonzo, consumatesi fra il giugno 1915 e l’agosto 1917, durante le quali sostanzialmente l’esercito italiano e quello austroungarico, avevano mantenute inalterate le posizioni iniziali, nella 12ª Battaglia dell’Isonzo, detta anche “Battaglia di Caporetto”, le truppe asburgiche, coadiuvate da quelle tedesche, riuscirono a sfondare proprio in prossimità della cittadina di Caporetto, creandosi un varco che avrebbe radicalmente mutato gli equilibri della contesa e provocato una ritirata precipitosa e scomposta da parte italiana.
Caporetto non fu comunque un caso fortuito, ma una situazione determinata da una serie di circostanze le cui avvisaglie si erano palesate già in precedenza. Una di queste, paradossalmente, fu proprio la conquista dell'altipiano della Bainsizza da parte dell’esercito italiano durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo. Infatti l'Austria fu costretta a confessare al suo alleato germanico che non sarebbe più stata in grado di resistere ad un'altra battaglia, essendo ormai le sue forze allo stremo. Lo stato maggiore tedesco sapeva bene che se l’Austria-Ungheria fosse crollata la guerra sarebbe stata persa, e di conseguenza fu indotto a spostare decisamente il suo interesse verso il fronte italiano, dando luogo ad un massiccio intervento a supporto dell’alleato asburgico, resosi possibile anche dall’uscita dal conflitto della Russia in seguito alla rivoluzione d’ottobre, e quindi ad una maggiore disponibilità di uomini provenienti dal fronte orientale.
Oltre a consistenti rinforzi i generali tedeschi apportarono anche nuove tecniche organizzative e di combattimento, alcune delle quali mutuate dai francesi sul fronte occidentale: vennero istruite delle speciali squadre d’assalto in grado di muoversi agilmente senza essere viste ed effettuare incursioni verso obiettivi mirati; inoltre, per evitare la depressione e lo stress psicologico procurato dalla lunga permanenza in trincea, i soldati che la occupavano venivano ruotati in continuazione affinché non vi rimanessero più di due o tre giorni consecutivi. Da parte italiana, l’esercito al comando di Cadorna, dal maggio 1915 all'ottobre 1917, si era notevolmente potenziato passando da un milione a tre milioni di uomini. Allo stesso tempo, era più che triplicata l'artiglieria, era aumentato il numero delle mitragliatrici e anche l'aviazione aveva beneficiato di un significativo incremento. Tutto questo però non fu seguito da un valido addestramento a causa della indisponibilità di istruttori validi, la cui formazione richiedeva degli anni, e degli stessi soldati, cronicamente insufficienti in rapporto all'estensione del fronte (650 km).
Con grande sorpresa alle 2 del mattino del 24 ottobre 1917 le linee italiane tra Plezzo e Tolmino iniziarono ad essere colpite da un bombardamento senza precedenti sia per intensità che per precisione. I cannoni austro-germanici erano stati puntati sulle linee retrostanti, sulle linee di comunicazione, sugli osservatori e sulle postazioni dell'artiglieria. Per cinque ore le granate caddero in maniera incessante e distrussero gran parte delle strutture italiane. La prima linea rimase isolata e alle 7 del mattino la fanteria uscì dalle trincee. Fu così che ebbe inizio la dodicesima battaglia dell'Isonzo.
Gli austro-germanici si mossero simultaneamente sia a nord, nei pressi del Monte Rombon, che a sud, a Tolmino. La prima zona era ben difesa dall'esercito italiano ma alle bombe austroungariche si mischiarono anche granate tedesche a gas asfissiante che in breve tempo uccisero oltre 700 uomini della Brigata Friuli. I superstiti ricevettero l'ordine di ripiegare lasciando così via libera al nemico.  A Tolmino invece le truppe italiane furono colte totalmente impreparate: l'ordine di ripiegamento fu trascurato dando agli austro-germanici un notevole vantaggio. I battaglioni tedeschi cominciarono a risalire il fondovalle verso nord incontrando sulla loro strada pochi soldati italiani i quali, per mancanza di ordini ufficiali, non spararono nemmeno un colpo. Alle due del pomeriggio giunsero alle porte di Caporetto, preceduti solo dai soldati italiani che stavano frettolosamente abbandonando tutte le loro postazioni. Alle 15.30 il ponte sull'Isonzo venne fatto saltare in aria ma nonostante ciò, prima del tramonto, i tedeschi entrarono a Caporetto insieme a duemila prigionieri italiani.
Per evitare l'accerchiamento austro-tedesco il 25 ottobre tutto fronte giulio composto da circa 1 milione di uomini, iniziò a ritirarsi verso il fiume Torre, poi verso il Tagliamento, poi verso il Livenza. La notte tra il 25 ed il 26 ottobre anche la 3a armata del Carso, per non rimanere accerchiata, iniziò il ripiegamento verso il Piave ed il Grappa, che raggiunse il 6 novembre. L'esercito italiano, anche se in preda al caos, non era in completo sfacelo, e oppose in alcuni punti una valida resistenza, ma in generale la ritirata avvenne in una situazione caotica, caratterizzata da diserzioni e fughe che sfociarono in alcune fucilazioni, miste a episodi di valore e disciplina durante i quali molti ufficiali inferiori, rimasti isolati dai comandi, acquisirono notevole esperienza dei nuovi modi di fare la guerra, importati dai tedeschi.
L'ultimo episodio di resistenza italiana sul Tagliamento iniziò il 30 ottobre presso il comune di Ragogna: gli austro-ungarici, temporaneamente bloccati dal fuoco avversario, non riuscirono a impadronirsi dell'importante ponte di Pinzano al Tagliamento, ma si riscattarono il 3 novembre quando attraversarono più a nord il ponte, danneggiato ma non del tutto distrutto, di Cornino (una frazione di Forgaria nel Friuli). Cadorna, venuto a sapere della caduta di Cornino il 2 novembre e di Codroipo il 4, ordinò all'intero esercito di ripiegare sul fiume Piave.
L'Italia era sconfitta, l’intero esercito italiano sembrava incapace di reagire, e per l’esercito asburgico si prospettava la possibilità di attraversare la pianura padana e prendere alle spalle anche la Francia, invece avvenne qualcosa che non solo cambiò le sorti della guerra, ma addirittura cambiò il mondo.
L'ondata austroungarica si arrestò fra lo sbocco del Piave in pianura e del Feltrino più a nord. Le indecisioni austriache permisero alle truppe allo sbando di riorganizzarsi. Le truppe di montagna italiane, addestrate alla guerra sulle Dolomiti, si ritirarono scendendo lungo la vallata del Piave e furono portate ad occupare le posizioni e le roccaforti del Grappa, mentre in pianura, lungo il corso del Piave venne impostata una solida linea difensiva che bloccò definitivamente l’avanzata nemica e diede inizio all’anno di occupazione austriaca nell’intero Friuli e parte del Veneto.
Il 7 novembre il Re destituì Luigi Cadorna da Comandante in Capo dell'Esercito Italiano; al suo posto venne nominato il generale Armando Diaz. Il 10 novembre, la ritirata italiana terminò con il seguente bilancio: 10.000 morti, 30.000 feriti, 300.000 prigionieri, 350.000 sbandati e disertori; erano stati persi 3.152 pezzi d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici; rimanevano 400.000 uomini in piena efficienza dallo Stelvio al fiume Brenta, e altri 300.000 uomini, i resti della 2a e 3a armata, dal Brenta al mare, aggrappati al massiccio del Grappa.
Sul piano strategico e tattico le colpe di una tale disfatta furono attribuibili al comando supremo, affidato al generale Cadorna, ed a caduta, al comando d'armata interessato, affidato al Generale Capello, e ai tre comandanti dei corpi d'armata coinvolti, affidati ai generali Cavaciocchi, Badoglio e Bongiovanni, mentre su un piano più ampio Cadorna ebbe anche la colpa di non aver sviluppato una dottrina militare meglio aderente ad una guerra di posizione, ed a una ritrosia verso le riunioni congiunte con i comandi d’armata.

grande guerra



news pubblicata il mer 13 mag 15