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Le imprese dell'aviatore Giannino Ancillotto

gio 09 lug 15

Giovanni “Giannino” Ancillotto, rampollo di una ricca famiglia di proprietari terrieri, nacque nel 1896 a San Donà di Piave da madre Corinna e padre Giovanni. Manifestò fin da giovanissimo un estremo interesse per i motori di tutti i tipi, ma in particolare fu folgorato dalla passione per gli aerei, le cui possibilità di sviluppo, sia in campo civile che militare si stavano palesando sempre di più, al punto da farlo arruolare volontario nel Corpo Aeronautico Militare all’età di 18 anni, esattamente quattro mesi dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Dopo esser divenuto caporale, nel 1915 si iscrisse alla scuola di volo di Cameri, uno sperduto paesino in provincia di Novara, a quei tempi considerata una vera e propria università del volo e che sfornò buona parte di quei piloti, le cui gesta avrebbero contribuito a coniare l’appellativo di “Assi dell’Aria”. L’aviazione militare era agli albori, e battagliare nei cieli al comando di un mezzo aereo era considerata un’attività cavalleresca, le cui regole d’ingaggio prevedevano come obiettivo principale l’abbattimento del velivolo nemico, ma ove fosse possibile il rispetto della vita dell’avversario. Giannino Ancillotto, di buona famiglia e buone maniere, senza problemi economici, ma con una grande capacità nell’addomesticare gli aerei alle sue parabole perfette fu un predestinato, con un futuro da eroe già impresso alla nascita, e la cui breve vita è riportata a noi da numerose pubblicazioni dell’epoca, che seppur con un linguaggio intriso dalla retorica di quei tempi ne raccontano la vita e le imprese.

La guerra nel “Fronte Italiano” entrò in pieno sviluppo nel 1916, quando Giannino Ancillotto da brillante allievo divenne un temibile combattente, la cui fama oltrepassò quella che si era già guadagnato durante il periodo di addestramento. Il suo coraggio calmo e misurato e la sua audacia pronta e fredda lo fecero subito brillare fra i migliori piloti. Per lui non esisteva cattivo tempo: nebbia e nubi non lo arrestavano, anzi sembravano favorirlo nelle sue azioni di ricognizione e di caccia. Era maestro nel volo a bassa quota, attraverso il quale effettuava precise perlustrazioni dalle quali era solito riportare precise informazioni sulle postazioni e gli spostamenti delle artiglierie delle truppe nemiche. Conosceva a perfezione le montagne del fronte italiano, e si avventurava sulle cime montagnose delle Alpi con un’abilità non comune, visto che gli apparecchi di quei tempi avevano ridotte capacità di risalita.

Dopo Caporetto e il blocco dell’avanzata austroungarica sul Piave, entrambi gli schieramenti riorganizzarono le loro forze; nella sponda orientale gli austriaci ammassarono un grande quantitativo di armi e di soldati, mentre nella sponda occidentale gli italiani lavorarono alacremente alla costruzione di trincee, fortificazioni, bunker contraerei e postazioni di artiglieria. La stretta vigilanza dall’una e dall’altra parte, nonché le impetuose acque del Piave, furono d’impedimento ai rispettivi eserciti di inviare pattuglie in ricognizione per conoscere le mosse del nemico, perciò, per rilevare spostamenti ed attività delle truppe italiane, gli austriaci ricorsero ai “drachen”, ovvero a dei tozzi palloni aerostatici ancorati al terreno tramite delle robuste funi. I drachen venivano fatti salire alti in cielo specialmente al mattino presto quando la visibilità era migliore, fungendo da punti di osservazione privilegiati, e poi fatti ridiscendere a terra tramite le funi cui erano ancorati per evitare il loro abbattimento. La forma mostruosa e la capacità di apparire e scomparire all’orizzonte fecero guadagnare loro l’appellativo di drachen, ovvero draghi.

Nella sua carriera, e più precisamente nel periodo intercorso tra il 30 novembre e il 5 dicembre 1917, Giannino Ancillotto abbattè ben tre drachen, il primo in località Levada di Ponte di Piave, il secondo a San Polo di Piave, ed il terzo e più famoso di tutti, che gli valse anche una medaglia d’oro al valor militare ed una prima pagina sulla “Domenica del Corriere”, a Rustignè di Oderzo. Il “drago” di Rustignè si levava in cielo quasi giornalmente riuscendo a vigilare sulle attività dell’esercito italiano da Zenson di Piave sin oltre San Biagio di Callalta. L’abilità e la velocità con cui veniva manovrato da terra rendeva impossibile ai pezzi d’artiglieria italiani aggiustare il tiro per poterlo colpire. La mattina del 5 dicembre 1917 come d’abitudine il drago s’alzò in cielo e cominciò a fornire dati precisi alle artiglierie austriache che martellando furiosamente riuscirono a spazzar via alcune colonne motorizzate. I fanti italiani richiesero aiuto e protezione ai loro aviatori che subito si diressero verso Rustignè, ove il drago però fu tratto a terra e nascosto, salvo poi venir fatto nuovamente librare in aria per riprendere il suo compito, e così avvenne più volte arrecando notevoli perdite fra i soldati italiani, finché alla tenacia del drago non fu opposto un uomo ancor più tenace e che, come il drago stesso, aveva l’occhio fermo ed infallibile: Giannino Ancillotto, amichevolmente chiamato “Nanni”.

Per abbattere i drachen non bastavano i proiettili delle mitragliatrici con i quali abitualmente si centravano le fusoliere degli aerei nemici; essi erano dei draghi e solo con il fuoco potevano essere distrutti, pertanto era necessario posizionare sulle ali dell’apparecchio dei tubi di lancio con all’interno dei razzi incendiari. Così era addobbato il logoro “Nieuport” di Giannino Ancillotto quando si levò in cielo scortato da tre caccia italiani che dovevano proteggerlo nell’impresa. Mentre erano in fase di avvicinamento al drago di Rustigné che volteggiava a 400 m d’altezza, videro che a protezione dello stesso erano giunti tre veloci e moderni caccia austriaci per cui attaccare dall’alto sarebbe stato impossibile. Giannino allora scelse la tattica che gli era usuale pur se assai rischiosa: assieme ai suoi tre angeli custodi s’abbassò di quota e puntò decisamente verso il drago i cui manovratori da terra avevano iniziato le operazioni per farlo ridiscendere. Mentre i sei caccia d’opposta fazione iniziarono a duellare fra di loro, egli s’avvicinò sempre di più al mostro, che sgonfiandosi per ridiscendere al suolo assunse sembianze sempre più contorte, ma volendo Nanni esser sicuro di centrarlo, solamente quando si trovò a 20 m da esso lasciò partire i razzi che lo incendiarono, trasformandolo in una palla di fuoco entro la quale scomparve anche l’impavido pilota. Mentre i due osservatori austriaci precipitavano al suolo assieme ai resti fumanti del drago, il bagliore dell’incendio attirò l’attenzione dei caccia, che sospesero il loro duello giusto in tempo per vedere la carcassa dell’aereo di Giannino riemergere da quell’inferno perdendo però quota sempre più rapidamente. Per un attimo lo schianto sembrò inevitabile, ma la sorte, generosa con gli audaci, nonostante i danni al velivolo e le ustioni riportate diede al pilota italiano la forza di risollevare l’aereo e riprendere quota. Vistolo in palese difficoltà uno dei caccia austriaci tentò di attaccarlo, ma Giannino, che nel frattempo aveva recuperata l’inerzia del volo, puntò il muso anche contro di lui, procurando dall’avversario un attimo di esitazione di fronte a tanto coraggio… Giusto il tempo che permise all’asso dell’aviazione di recuperare la rotta e virare velocemente verso il campo base, prontamente raggiunto e protetto dalla sua scorta aerea. Durante il rientro sorvolò le postazioni dei fanti attestate lungo l’argine del Piave, i quali vedendo il Nieuport di Giannino Ancillotto trascinare nel suo volo dei lunghi lembi di stoffa ancora fiammeggiante che erano stati parte dell’involucro del drago di Rustigné, capirono che il mostro non sarebbe più stato in grado di nuocere.

Da ricostruzioni storiche più approfondite par di capire che il drachen causa di tanti bombardamenti mirati che martoriarono i fanti italiani durante il mese di novembre 1917, fu quello che Giannino Ancillotto abbattè il 30 novembre dello stesso anno a Levada di Ponte di Piave, e che a seguito di tale abbattimento, gli austriaci decisero di sostituirlo spostandone però la posizione di pochi km proprio a Rustigné, ove però ebbe vita breve come abbiamo appena raccontato. Nell’elenco delle vittorie conseguite da Giannino Ancillotto nell’ultimo anno di guerra, oltre ai tre drachen risultano anche l’abbattimento di un apparecchio nemico il 3 novembre 1917 a Rovarè, altri due il 24 luglio 1918 rispettivamente a Sant’Elena di Treviso e a Trepalade di Venezia, un altro il 21 agosto 1918 a Ponte di Piave ed un altro ancora il 27 ottobre 1918 a San Fior di Treviso. Durante la sua pur breve carriera Giannino Ancillotto ebbe modo di collezionare le seguenti onoreficenze: 1 Medaglia d’Oro al Valor Militare, 3 Medaglie d’Argento al Valor Militare, 1 Croce al Merito di Guerra, il titolo di Commendatore della Corona d’Italia per Meriti di Guerra, 1 Croce della 3ª Armata, 1 Medaglia dell’Ordine della Corona del Belgio, 1 Medaglia della Marcia di Ronchi, 1 Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918, 1 Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia 1848-1918 e 1 medaglia di benemerenza per i volontari della Guerra Italo-austriaca 1915-1918. Purtroppo il fato volle, che dopo aver rischiato la vita innumerevoli volte in volo, morisse il 18 ottobre 1924 in località Caravaggio (BS) in un incidente automobilistico mentre si recava ad un raduno di medaglie d’oro. Ciò non fece altro che aumentare ancor di più il suo mito, e consegnare ad imperitura memoria il suo nome, cui sono dedicate numerose vie in diverse città italiane.

PS: recentemente durante dei lavori di ampliamento della statale Postumia, in località Rustigné è stato scoperto un bunker austriaco risalente alla Prima Guerra Mondiale, che “potrebbe” essere stato costruito proprio per dare copertura ai manovratori da terra del draken abbattuto da Giannino Ancillotto.

grande guerra

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news pubblicata il gio 09 lug 15