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La Battaglia del Solstizio

lun 26 ott 15

Nonostante i preparativi fervessero da tempo, il piano d’attacco venne approvato in via definitiva dallo Stato Maggiore austriaco solo ai primi di giugno, e con i 120 chilometri di fronte coinvolto, i 160.000 uomini schierati e i quasi 6.000 pezzi d'artiglieria impiegati in modo pressoché simultaneo, rappresentò il più grande sforzo bellico mai tentato dall’impero austroungarico nel corso di tutta la guerra. Il 15 giugno ebbe inizio quella che gli austriaci chiamarono “operazione Radetzky", mentre da parte italiana il poeta D’Annunzio battezzò come “Battaglia del Solstizio”. Forti dell’esperienza di Caporetto, il Generale Diaz ed i suoi capi di Stato Maggiore dettero peso alle informazioni provenienti dai disertori ed alle informazioni degli infiltrati fra le file nemiche, i cui messaggi venivano recapitati tramite piccioni viaggiatori. Una tecnica assai semplice, ma che permise al Generale Diaz di venire a conoscenza con esattezza dove e quando il nemico avrebbe attaccato, dandogli modo di predisporre più linee di difesa e divisioni di riserva, pronte a tamponare le eventuali falle nel fronte provocate dalla prima, prevedibilmente violenta e decisa, ondata d’urto.
Da parte avversa i comandanti austriaci percepirono che quella che si stavano apprestando a combattere sarebbe stata con tutta probabilità l’ultima decisiva battaglia: dopo anni di guerra sul fronte russo, sul Carso e nell’ostile Veneto, chiesero ai loro soldati un ultimo estremo sforzo facendo leva sulla loro connaturata disciplina. Erano convinti di avere buon gioco dell’Esercito Italiano come già avvenuto otto mesi prima sull’Isonzo, e di trovare con la vittoria anche magazzini colmi di vettovaglie, ma grazie alle preziose informazioni del controspionaggio la strategia nemica era già conosciuta nelle sue grandi linee dai comandanti italiani, tant’è che l'artiglieria poté aprire il fuoco con un anticipo di alcune ore colpendo i luoghi di raduno della fanteria avversaria: fu così che il 138° reggimento austriaco venne letteralmente distrutto ancor prima di arrivare in linea.
Il piano austriaco prevedeva l’attacco simultaneo su tre fronti: il primo sull’Altipiano dei Sette Comuni dove tentarono la riconquista della linea dei tre monti (Val Bella, Col del Rosso e Col d'Echele) persa precedentemente in gennaio, e che avrebbe dovuto garantire loro di poter poi sfociare poi nella piana vicentina. Dopo aver ottenuto alcuni iniziali successi, già il giorno 16 giugno, i reparti italiani con l'appoggio dei Corpi Inglese e Francese riuscirono a contenere le fanterie avversarie, e la battaglia si spense con il rafforzamento di ognuno sulle nuove posizioni. Territorialmente rimasero in mano agli austriaci soltanto i tre monti, costati però il sacrificio di oltre 30.000 uomini fuori combattimento fra morti e feriti. Il secondo attacco fu sferrato sul fronte del Monte Grappa: alle 3 del mattino le 1.400 batterie austriache aprirono il fuoco sulle posizioni italiane, concentrandolo sulle propaggini del massiccio (il monte Tomba, Il Monfenera, l'Asolone, il Pertica) che vennero investite dalla fanteria attaccante. Ma le operazioni di rafforzamento del massiccio del Grappa, volute da Cadorna, sostanzialmente fecero sì che le postazioni italiane non ne venissero intaccate. Solo sull'Asolone la 32a Divisione Austriaca ottenne qualche successo prima di essere bloccata. Il terzo attacco fu sferrato sul fronte del Montello, ove l'intento austriaco era quello di superare il Piave e sfociare nella piana di Treviso.
La battaglia fu estremamente violenta nella zona di Ponte di Piave, ove il 18 giugno fu abbattuto quanto era rimasto ancora in piedi del paese lungamente martoriato per necessità di guerra dall’artiglieria italiana. Dopo il 18 giugno, nella maggior parte del settore le artiglierie italiane non fecero che sconvolgere le macerie per sconcertare il nemico che si insidiava, in modo speciale a nord della ferrovia Oderzo-Treviso. La violenza del combattimento fu specificata nel bollettino del giorno 19: «Sul Piave, la mattina di ieri fu calma; ma nel pomeriggio divampò ancora furiosa; i nuovi tentativi nemici di passare sulla riva destra da Sant’Andrea a Candelù furono tutti respinti. Sull’argine del fiume, tra Candelù e Fossalta, la difesa dei nostri mise a dura prova l’avversario, il cui impeto s’infranse di fronte all’incrollabile bravura delle nostre fanterie». La lotta continuò sanguinosa fino al 22 giugno quando, prosegue il bollettino: «il nemico, incalzato dalle nostre valorose truppe, ripassò in disordine il Piave». La rovina di Ponte fu completa, più ancora che in ogni altra località che la storia della Grande Guerra abbia immortalato. Le azioni che si preparavano continuamente sul suo territorio contro l’Esercito Italiano, furono delle più sanguinose e le controffensive dello stesso Esercito Italiano non furono meno organizzate. Ponte di Piave fu un vasto deposito di materiale bellico fin dai primi due mesi dopo Caporetto, poiché sul suo territorio, come sul territorio di Negrisia, si organizzarono da parte dell’esercito austroungarico i piani di battaglia che andarono sempre falliti contro Fagarè e Zenson di Piave.
Citiamo alcuni bollettini di guerra del periodo, ad esempio quello del 17 giugno: «Quanto all’artiglieria e l’aviazione si può dire che l’Austria-Ungheria abbia posto contro di noi la totalità dei suoi mezzi: non meno di 7500 bocche da fuoco di ogni calibro sono in azione sul nostro fronte. Tre Armate austro-ungariche sono impegnate nell’offensiva sotto gli ordini supremi del Feld maresciallo Boroevic Von Bojna, comandante in capo sul fronte italiano. Fra Astico e Piave è l’XI Armata del generale Von Scheuchestuel; al Montello la VI Armata agli ordini dell’Arciduca Giuseppe; sul basso Piave opera la vecchia Armata dell’Isonzo, comandata dal Colonnello Generale Von Wurm. Combattono tutte con disperata energia, con enorme ricchezza di mezzi. L’ordine è di avanzare ad ogni costo, senza badare a sacrifici di sangue, e i reggimenti austro-ungarici cercano di obbedire. Migliaia di cadaveri coprono il terreno dinanzi alle nostre linee nel settore montano, si accumulano lungo il Piave ad ogni assalto sferrato: ma gli obiettivi da raggiungere sono ancora lontani. Da documenti trovati addosso ad ufficiali nemici risulta confermato che il XVI Corpo d’Armata austro-ungarico, forzato il Piave fra Nervesa e le grave di Papadopoli, doveva raggiungere il primo giorno la ferrovia Treviso-Montebelluna; più a sud il IV Corpo d’Armata, varcato il Piave, fra le grave di Papadopoli e Ponte di Piave, doveva occupare d’un balzo Treviso, da Ponte di Piave al mare, Il VII e il XIII Corpo d’Armata dovevano appoggiare l’avanzata, raggiungendo nel secondo giorno la ferrovia Treviso-Mestre».

grande guerra

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news pubblicata il lun 26 ott 15