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Accadimenti sul Fronte Italiano durante l’estate/autunno del 1918
Dopo la battaglia del Solstizio sul Fronte Italiano riprese la solita guerra, fatta di bombardamenti, azioni di pattuglie, audaci colpi di mano e assalti alle reciproche posizioni. A metà luglio, sull’altopiano di Asiago, l’esercito austroungarico tentò più volte l’assalto al Monte Cornone ma fu ripetutamente respinto, ed in alcuni casi anche prevenuto dal presidio italiano, che lo attaccò alla baionetta e lo mise in fuga inseguendolo fino alle trincee di partenza. Stessa sorte ebbe un attacco alle posizioni italiane di Col Caprile.
In egual momento nella regione dell'Adamello, gli Alpini, preceduti dagli Arditi delle "Fiamme Verdi", assalirono e strapparono al nemico il Monte Stabel (quota 2368) e rioccuparono completamente il Corno di Cavento, infliggendo all'avversario numerose perdite. Nella seconda metà di luglio ulteriori attacchi nemici furono tentati contro il Monte Corno, sul Caberlaba, sull'Asolone e nuovamente contro il Monte Cornone, ma fallirono tutti poiché le fanterie italiane contrattaccarono con decisione, e dopo aver avuto la meglio nella lotta a corpo a corpo, respinsero nettamente l'avversario, che fu costretto a ripiegare perdendo mitragliatrici, lanciafiamme e lasciando indietroaddirittura alcuni prigionieri.
Verso la fine di luglio un reggimento di truppe americane, tra cui vi erano molti oriundi italiani, giunse in Italia salutato calorosamente dal generale Diaz, mentre, durante tutto il mese di agosto, pur proseguendo intensa l'attività delle opposte truppe, non vi furono episodi di particolare rilievo. Piuttosto un continuo susseguirsi di forti attacchi austriaci, sempre respinti, a volte anche sanguinosamente dagli italiani, i quali posero in atto continui colpi di mano che portarono alla cattura di armi, materiali e prigionieri. Sull’arco alpino, con l’ausilio degli alleati francesi ed inglesi, gli italiani compirono irruzioni ardite e fruttuose contro gli avamposti nemici, ma non da meno fu l’attacco che il 14 agosto effettuò sul Piave un reparto di Bersaglieri, occupando di sorpresa un isolotto a sud-ovest delle Grave di Papadopoli che invano il nemico con attacchi in forze tentò di riprendersi.
Al pari dell'esercito, dal luglio all'ottobre 1918, furono molto attive pure la Marina e l'Aviazione. La notte del 17 luglio due dirigibili della Marina bombardarono le opere militari di Pola e le navi da guerra che si trovavano nel suo porto; all'alba del 17 aeroplani e idrovolanti lanciarono numerose bombe sulle stazioni dei sommergibili e sugli idroscali di Pola, nonché sugli hangars e sulle sistemazioni antiaeree di Lagosta. Il 30 luglio una squadriglia di idrovolanti italiana bombardò per due ore le opere militari di Pola e successivamente altre squadriglie danneggiarono le opere militari e l'ancoraggio di Durazzo; nei giorni a seguire alla stessa sorte furono condannati San Giovanni di Medua e Cattaro. Vennero bombardati i porti nemici della costa albanese, numerosi campi di aviazione a est della Livenza, presso Belluno, in Valsugana ed in Alto Adige. L’Aviazione italiana lanciò inoltre le sue bombe sugli accampamenti nemici oltre il Piave e nei pressi di Dulcigno, sulle stazioni ferroviario di Villacco e di Lienz, sulle opere militari di Primolano, Fucino e dell’altopiano di Asiago, sui cantieri navali di Muggia, sui baraccamenti di Fonzaso, sui depositi della stazione di Sacile e su numerose truppe in marcia.
Dal l° di luglio al 24 ottobre, in combattimenti aerei o per opera delle batterie, furono abbattuti dagli italiani ben 240 velivoli nemici. Nonostante ciò, non si riuscì ad impedire la grande quantità di vittime che l’aviazione austriaca procurò bombardando numerose città italiane situate sia all’interno che lungo tutta la costa adriatica. In particolare: Castellazzo, Clusone, Padova, Roncade, Treviso, Ravenna (Porto Corsini e Fiumi Uniti), Otranto e soprattutto Venezia, che nella seconda metà del settembre 1918 fu presa di mira dagli aerei austriaci in molteplici occasioni.
Durante questo periodo, fervente di attività in cielo, in mare e in terra, nessuna delle quali però in grado di incidere profondamente sulle sorti del conflitto, prese corpo l'idea del Comando Supremo di creare una testa di ponte al di là del Piave, dal Monte Cesen a Susegana (TV), da cui lanciare nella primavera del 1919 un grande offensiva generale. Le misure di prudenza adottate furono suggerite in particolare da quei componenti del governo timorosi che un'azione troppo energica potesse indebolirel'esercito, mentre altri ministri, come BISSOLATI e SONNINO, al contrario ritenevano indispensabile avviare in breve tempo, ancora entro l'anno e nonostante l'approssimarsi della cattiva stagione, un'offensiva di grande dimensione per piegare definitivamente l'Austria. Ad avallare quest’ultima tesi intervenne anche la sconfitta degli eserciti imperiali su tutti gli altri fronti, ed in particolare dell’esercito tedesco che si apprestava a chiedere l’apertura dei negoziati di pace, facendo perdere agli austroungarici ogni speranza di poter essere aiutati.
L'Italia, a fine settembre–inizio ottobre, scelse in gran segreto la soluzione "immediata", ed il 12 ottobre il Comando Supremo forni le istruzioni necessarie a tutti i reparti affinché il 24 ottobre potesse avere inizio l'ultima battaglia contro l'Austria, ma questo sarà argomento delle successive cronache.