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LA BATTAGLIA FINALE SUL PIAVE
Il ruolo del Fiume “Sacro alla Patria”
L’inno Nazionale italiano risale al 1848, l'anno primo del Risorgimento Italiano ma, specialmente in Veneto, oltre all’Inno di Mameli ce n’è anche un altro, non dichiarato come tale, e che in molte cerimonie ufficiali è eseguito quasi a completare l'Inno ufficiale. Fu composto nel 1918 a suggello della vittoria nella Prima Guerra Mondiale e ha per titolo “La leggenda del Piave”. Si tratta di un canto di guerra molto particolare, nel quale più che le armi e i soldati il vero protagonista è il fiume, che ne viene traslato come un soggetto totale, uno specchio che riflette e racconta i quattro anni di guerra diventando soldato tra i soldati, combattendo al loro fianco con la sua arma principale: l'acqua. Infatti il fiume è descritto come "calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio”, giorno dell'entrata in guerra dell’Italia, ma anche gonfio e cattivo nei giorni di Caporetto, quando la sua piena si erse a barriera contro gli invasori, da cui le parole "il Piave mormorò: non passa lo straniero!".
Il Piave divenne una barriera non solo fisica, ma anche ideale e sentimentale, una specie di cuore liquido capace di pulsare assieme a quello dei soldati, in grado di assurgere al ruolo di divinità fluviale, e per questo “Sacro alla Patria”, ma al tempo stesso anche una linea di confine che non avrebbe mai dovuto essere isolata. Con la rotta di Caporetto divenne l'ultima trincea, il “luogo” che permise di bloccare l’esercito austroungarico quando la sua avanzata sembrava inarrestabile, e dove si materializzarono non soltanto la ripresa del nostro esercito, ma anche forme inedite di eroica guerriglia, come quella dei commandos subacquei soprannominati "Caimani del Piave", le cui gesta furono raccontate nei libri di scuola delle elementari solo fino alla seconda guerra mondiale.
Essi furono una sezione di nuotatori addestrati per attraversare i fiumi a nuoto allo scopo di condurre ricognizioni, azioni di sabotaggio o portare ordini, intensamente impiegati da parte italiana sul fronte del Piave. Si trattava uno speciale reparto di Arditi volontari creato all'indomani della Battaglia di Caporetto, che aveva messo a punto delle particolarissime tecniche offensive, e che inizialmente era costituito per lo più da nativi delle zone del Piave, ove venivano principalmente impiegati perché ne conoscevano le insidie. Solamente in un secondo momento il reparto accolse anche volontari provenienti da altre regioni, purché si distinguessero per le loro capacità natatorie.
L'addestramento era molto duro e concentrato, oltre che sul nuoto, soprattutto sulle tecniche di combattimento a mani nude e lama corta. In acqua avevano adottato una tecnica di nuoto ispirata agli alligatori, infatti per minimizzare la superficie esposta e quindi la possibilità di essere individuati, esponevano dall'acqua solo la testa al di sopra delle narici. Da questo probabilmente deriva la denominazione di “caimani”. L'armamento principale era costituito essenzialmente da un pugnale, poiché il loro compito era quello di neutralizzare il nemico in modo silenzioso e rapido, attraverso l’utilizzo delle arti marziali orientali, le quali venivano loro insegnate da parte di istruttori scelti tra i marinai che le avevano apprese quando, a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, erano stati destinati in Cina e Giappone.
La loro divisa era costituita da semplici calzoncini da bagno, inoltre, conducendo azioni per lo più notturne, erano soliti ricoprirsi con una mistura di grasso per proteggersi dal freddo, e nerofumo per mimetizzarsi nel buio. Passavano il fiume di notte, pugnale fra i denti, assalivano le sentinelle avversarie, catturavano armi, facevano saltare postazioni, studiavano da vicino lo schieramento nemico e ritornavano fra le linee con preziose informazioni per i comandi. Gli austriaci erano terrorizzati dalle loro insidie sempre imprevedibili e spesso mortali.