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Uno spunto per una lettura tutta al femminile
in occasione della presentazione del libro
"Colazione al Grand Hotel"
di Marina Ripa di Meana
Dedichiamo a tutte le donne un brano dello scrittore Goffredo Parise
“Donne”
Questo non c’entra con la “letteratura”, c’entra però, moltissimo, con la letteratura. “Voglio dire che troppi “hommes des lettres” guardano troppo poco le donne, le osservano poco e n parlano poco. Quando dico così intendo un particolare modo di guardare, di osservare e di parlare (o di inventare) delle don ne. Molto di rado capita di sentire un “hommes des lettres” che descrive a parole molto a lungo o con rapimento una donna, quasi mai capita che ne descriva, sempre a parole (dette) l’anima, quella cosa così leggera che hanno molte più donne di quanto si pensi; che dedichi una intera serata a questo, o un pomeriggio, o una mattina, indifferentemente se a piazza di Spagna a maggio, oppure in una casa qualsiasi in un mese qualsiasi, oppure al Lido aspettando un motoscafo. E non la descriva da letterato, elegante o non elegante, bensì da uomo un po’ fanciullesco che ha visto una donna passare, con i capelli così, vestita così, con scarpe così e un’aria intorno, un paesaggio in fondo. Dicono che Bobi Bazlen abbia mandato a Montale una fotografia di due gambe di donna con dietro scritto “Queste sono le gambe di Dora Markus, scrivi una poesia”. Ecco un letterato che aveva capito l’enorme importanza delle donne (e del loro nome) nella poesia. Quella fotografia e forse quel nome erano un gioco, un flash e un suono, ma hanno “agito”. Quando una giovane donna che si chiama Dacia appare nel vano di una porta, con il volto roseo dalla piccola bocca ridente, il caschetto di capelli ricci e biondi, e seguita a sorridere e lievemente arrossisce sorridendo del suo rossore, e dà la sua mano piccola e trepidante (sempre) viene immediatamente voglia di uscire, di trovare un amico o un’amica che non la conoscono (ma anche un amico o un’amica che la conoscono) e raccontare e descrivere (trepidando) l’anima di Dacia. Alberto Moravia non lo sa ma se apre bocca e dice: Dacia, l’espressione del suo volto muta diventa fanciullesca e quasi impaurita e la sua voce cambia diventa più roca o più fievole e tra le sue labbra il nome “agisce”.
Quando il cadetto A. Arbasino descrive Domietta vestita di bianco, con un po’ di vento, di notte, su fondamenta veneziane, sola, (quando la “scrive”) l’immagine anche quella agisce.
Quando un metallaro romano ricciuto nel suo botteghino di ottone con lampade a poche candele vede passare davanti al botteghino una bella e semplice donna mediterranea dai capelli neri e ricci “avec un trés beau derrière”, belle labbra gonfie etrusche e occhi semplici di scolaretta, con un saltello d’estate, un po’ madida, e il metallaro dice quello che deve dire, anche quel nome agisce.
E la lunare e lunatica Silvia, nuvola di marzo, vestita di cigno rosso, e solo un po’ truccata di rosso le labbra sorride, con due pieghine ai lati delle labbra e due fossette, e gli occhi si fanno strettie mongoli e dice: “ Camillo, oh che bel nome” a un signore altissimo, coi capelli tutti ricci e rossi, timido e ironico, anche la sua lieve voce agisce. Se ne potrebbero dare tantissimi di esempi cosìe l’artista vorrebbe che di questi esempi (di questo genere) fosse “agita” tutta la vita, ma l’“hommes des lettres” quasi mai, quasi mai fa sì che suoni e colori e nomi e la dovuta “aria” intorno, agiscano.