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Ho sognato notti fa che Goffredo mi veniva incontro con l’occhio vispo e il sorriso malizioso, come ai bei tempi, per dirmi che non era morto, era tutto uno scherzo! E afferrandomi alla vita mi trascinava in una specie di valzer. Ma ti sembrano scherzi da fare? Gli dicevo, col cuore che ballava anche lui per la felicità.
- Eh, caro mio, bisogna pur divertirsi a questo mondo!
Era capacissimo di combinare uno scherzo del genere, spingeva le cose sempre oltre i limiti… Ma poi si fece serio e mi ripetè le ultime parole de “Il ragazzo morto e le comete” … <<troverai un altro amico. Certo che lo troverai e questa volta non morirà così presto>>… Già, così presto – mi risvegliai ripetendo: Così presto.
Questo sogno, però, mi aveva lasciato dentro il piacere di averlo rivisto, e nonostante tutto, un po’ dell’allegria ceh mi dava la sua compagnia… Come mi piaceva sentirlo parlare! Mi piaceva quella sua cadenza veneta che era come una musichetta ironica nascosta dentro tutto quello che diceva, e mi piaceva la sua aria seria, compunta, sorniona, che dava per scontata qualunque stranezza gli passava per la testa quasi fosse la cosa più naturale del mondo (e invece, poi, tanto nautrale non era mai). […]
Ora, mentre tento invano di restituire la lieve ed imprevedibile qualità delle cose che mi diceva (ma senza il suo accento particolare, senza la sua serietà, senza la sua musichetta veneta, senza quel suo vispo occhio parlante, come si fa?) mi accorgo che ognuna di quelle cui ho accennato casualmente avrebbe potuto essere il tema o l’avvio di uno dei racconti di “Sillabario”, che sono anch’essi lievi ed imprevedibili, e come dice Natalia Ginzburg “sembrano balzar fuori a un tratto dal disordine del mondo”. […]
Goffredo era un pessimista, ma io non ho mai incontrato un pessimista così innamorato della vita come lui. La vita, l’amata vita, lo aveva tradito, anzi lo aveva “fregato”, con un colpo basso. Quel broncio, quella smorfia amara e non rassegnata, quel rancore che appare nel suo sguardo e vien fuori in tutte le sue ultime fotograife, sono dovuti a quel tradimento sleale. E alla “vergogna” (lui la sentiva così) della malattia. “Bisogna maltrattarla la malattia”, diceva. Ma la verità, invece, era che la malattia maltrattava lui, e con lenta crudeltà. [...]
I suoi autori, quelli con cui amava competere, discutere, giocvare o arrabbiarsi, erano stati, prima Comisso, e poi Gadda, Moravia, Montale. […]
Ma non frequentava solo gli artisti. Anzi spesso preferiva cercare altrove la compagnia, e io mi sono sempre meravigliato della varietà e dell’eterogeneità delle persone da lui frequentate. Parlava con grande confidenza con chiunque, col barbone Anselmo e col pittore Schifano, con la comparsa di Cinecittà e col regista Fellini, con la mondana all’angolo della strada e coi mondani dei salotti romani e milanesi. […]
Prima di scrivere questo mio ricordo di lui ho preso il “Sillabario” e con sorpresa ho visto la sua calligrafia e la dedica: Al mio indimenticabile – e il mio nome. Ma indimenticabile, veramente, sei tu caro Goffredo.
Raffaele La Capria