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Piazzetta Don Giovanni Daminato

ven 15 lug 22

L’Amministrazione comunale ricorda Don Giovanni Daminato con la scopertura di una targa in sua memoria a Negrisia di Ponte di Piave.


Si è svolta giovedì 28 luglio 2022 la cerimonia di intitolazione di una piazzetta a ricordo del compianto Don Giovanni Daminato, Parroco di Negrisia per 35 anni.
“La Giunta comunale – ha dichiarato il Sindaco Paola Roma – nel marzo 2022 ha deliberato l’intitolazione di una piazzetta alla memoria di Don Giovanni Daminato, figura apostolica, uomo di fede e saggezza, persona di riferimento per l’intera comunità.
Ponte di Piave non poteva che rendere omaggio all’amato Parroco che per 35 anni ha guidato la Chiesa Arcipretale di Negrisia e che negli anni ha saputo accogliere, ascoltare, consolare e sorreggere i suoi paesani, divenendo per molti una guida spirituale e nel contempo un fondamentale sostegno per le opere di carità sociale.
Ringrazio S.E. Il Vescovo Mons. Michele Tomasi, il Vicario Generale Mons. Giuliano Brugnotto e Don Renato Gazzola che hanno concelebrato la Messa con Don Gianni Biasi, Parroco di Negrisia, i nipoti di Don Giovanni, le autorità civili e militari intervenute ed il Comitato per i festeggiamenti di San Romano di Negrisia che all’interno dell’annuale sagra ha accolto tale iniziativa, a conferma di come Negrisia senta ancora viva la presenza di Don Giovanni stretta in un legame indissolubile di appartenenza alla comunità.
Un ringraziamento particolare – conclude Roma – al Dott. Dino Boffo, già direttore di Avvenire per la magistrale presentazione della storia e della vita di Don Giovanni che con il suo racconto ha saputo emozionare i presenti".

Il saluto del Sindaco

a tutti i concittadini e alle autorità convenute oggi in questa piazzetta, il vicario generale Mons. Giuliano Brugnotto, ringrazio Don Gianni Biasi per la disponibilità, don Renato Gazzola, il Vice Prefetto Dott. Antonello Roccoberton, il collega sindaco di Castello di Godego Diego Parisotto paese natio di don Giovanni, dott. Dino Boffo già direttore di Avvenire per la magistrale presentazione della storia e della vita di Don Giovanni, le forze dell’ordine, la polizia locale e tutti i colleghi di Giunta e di Consiglio e ringrazio per la collaborazione il comitato festeggiamenti San Romano di Negrisia.

Saluto e ringrazio per la presenza i nipoti di Don Giovanni:

- Figli di Ida Daminato (sorella di Don Giovanni): Lidia Castellan, (in Australia Emilio,Maria,Bruno).

- Figli di Silvio Daminato fratello di Don Giovanni :Giovanni, Agnese, Bruna,(in Australia Carlo)

- Figli di Pasquale fratello di Don Giovanni: Luigi, Cecilia, Mariantonia,(in Canada Rosa)

L’Amministrazione comunale che mi onoro di presiedere, ha deliberato, con approvazione unanime e condivisa dalla Giunta comunale in data 8 marzo 2022, di intitolare la Piazzetta alla memoria di Don Giovanni Daminato, figura apostolica, uomo di fede e di saggezza, persona di riferimento per l’intera comunità che negli anni in cui ha operato ha saputo accogliere, ascoltare, consolare e sorreggere i suoi paesani, divenendo per molti una giuda spirituale e nel contempo un fondamentale sostegno per le opere di carità sociali .

Ringrazio il Vice Prefetto Roccoberton per il nulla osta concesso in data 29 marzo 2022, 20gg da parte della Prefettura ha potuto permettere questo momento, significativo per la frazione di Negrisia.

Do quindi ora lettura ufficiale delle motivazioni assunte in delibera di Giunta Comunale.

Don Giovanni Daminato amatissimo Parroco della Chiesa parrocchiale di San Romano a Negrisia.

Nato a Castello di Godego il 20 marzo 1911, venne consacrato sacerdote l’8 luglio del 1934, che svolse il suo primo incarico, quale Cappellano, a Salzano fino al 1937 per divenire in seguito Segretario del Vescovo di Treviso Mons. Mantiero fino al 1943, anno in cui venne a mancare l’Arciprete Don Antonio Lanzarini benemerito Parroco della Parrocchia di Negrisia di Ponte di Piave.

Il due ottobre del 1943 Don Giovanni Daminato venne destinato a divenire “la guida spirituale di una comunità modesta e generosa avvezza al lavoro e provata dalla sofferenza, ma sempre tenace nella sua fede in Dio e nelle tradizioni” come ebbe da scrivere di Lui Mons. Costante Chimenton, professore nel Seminario di Treviso, nella pubblicazione del 1926 “Negrisia di Piave e la nuova Chiesa di San Romano”.

Arciprete per 35 anni qui a Negrisia, Don Giovanni Daminato ha lasciato un’immagine indelebile tra i suoi parrocchiani che ancor oggi ricordano, attraverso le sue opere, il suo zelo e la sua attività instancabile, la propensione al sostegno, sia spirituale che materiale verso gli ultimi i più poveri, i malati e gli anziani, ma anche tutte le attività da Lui promosse rivolte ai bambini e ai giovani di modo che “vengano sempre indirizzati verso il bene” come gli stesso amava spesso dire.

Durante tutto il suo apostolato ha reso testimonianze di fede operosa non solo attraverso gli insegnamenti dei precetti religiosi, ma anche tramite instancabili opere di attiva solidarietà che, con intelligenza e lungimiranza, hanno migliorato la vita civile di tutta la comunità.

Diversi sono stati gli interventi, che negli anni, Don Giovanni ha commissionato: il restauro della pavimentazione della Chiesa parrocchiale, la Chiesetta cimiteriale, l’ampliamento della scuola dell’infanzia, il patronato e il bar quale il locale di ritrovo ACLI, la pesa pubblica, la latteria sociale, l’ufficio postale, la farmacia rurale per citare alcune delle Sue opere.

Primo azionista della cantina di Ormelle fondata nel 1958 divenuta in seguito cantina sociale, istituì anche la “schola cantorum” di voci maschili sia adulti che ragazzi.

Moltissimi e anonimi gli interventi in soccorso delle famiglie che a lui si rivolgevano sia per consigli e supporti morali nei momenti più tristi di difficoltà e dei lutti sia per concreti aiuti materiali elargiti con la dignità e l’affetto di un padre di famiglia.

Per questo con affetto e riconoscenza che, memori del bene ricevuto, riconosciamo ad un grande Parroco, un uomo di Chiesa divenuto parte integrante non solo della sua frazione tanto amata, ma di tutta la Comunità di Ponte di Piave che oggi si accingere a tributare attraverso questo simbolico gesto il cui ricordo si vuole perpetuare a imperitura memoria.

A Lei Don Giovanni che nella Sua missione di Apostolo rivive nel cuore dei Parrocchiani, che tanto le hanno voluto bene, e per l’instancabile attività da lei svolta per la crescita culturale, religiosa e sociale della nostra comunità: semplicemente Grazie! Perché il nostro cuore non dimentica ma ricorda.

Intervento del Dott. Dino Boffo

Negrisia, in memoria don Giovanni Daminato
Chiedo comprensione se oso prendere la parola, qui in chiesa, in questo contesto. Appellandomi alla vostra pazienza, cerco di corrispondere all’invito del vostro amato arciprete don Gianni e della vostra stimata sindaca, Paola Roma. Consentitemi anzi di esprimere a Paola gli auguri più fervidi per l’incarico che le è stato conferito a coordinamento di tutti i sindaci della Provincia di Treviso, qui simboleggiati dal suo collega Diego Parisotto, sindaco di Castello di Godego, paese natale di don Giovanni Daminato.
Anzitutto sento di dovervi ringraziare per l’occasione che mi avete fornito di conoscere da vicino la vostra comunità e la sua storia, iniziata ben prima dell’anno mille, dunque già nell’alto Medioevo (impressiona che nelle carte geografiche medioevali dipinte sulle pareti della Terza Loggia del Palazzo Apostolico in Vaticano figuri niente meno che Negrisia). “Pieve gloriosa − infatti, viene definita − per le sue tradizioni storiche, per la sua posizione giuridica, per la supremazia che godeva su altre cappelle”, secondo lo storico Chimenton. Negrisia “capopieve” o chiesa matrice − ad esempio nel 1314 − di ben 12 comunità ruotanti attorno al tracciato del fiume Piave.
Chissà se il nostro vescovo Michele, proveniente per grazia di Dio da altre latitudini, ha già avuto l’occasione di imbattersi su un titolo che per sette secoli fu proprio del vescovo di Treviso, ossia: “Signore, Duca, Marchese, Conte di Negrisia”, qualifiche − si noti bene − che illustrate financo al beato vescovo Longhin, nel 1913, venivano da lui accolte e apprezzate – dirà − non per la propria personale gloria ma per il decoro della Chiesa trevigiana. Qui a Negrisia d’altra parte sorgeva un castello feudale proprio del Vescovo, con annessa corte e il porto fluviale. Negrisia, insomma, un centro come Asolo, Montebelluna, Mestre e Trebaseleghe… e simboleggiata da una delle dieci stelle d’oro presenti sullo stemma fatto proprio dal vescovo tarvisino Grasser (anche lui, come monsignor Tomasi, di origini altotesine) nella prima metà dell’800.
Storia interessantissima, quella di Negrisia, che monsignor Costante Chimenton ha documentato in questo volume che meriterebbe, magari attraverso qualche rivisitazione critica, di essere ripreso e scandagliato e diventare il canovaccio per un lungometraggio storico capace di dare visibilità mediatica ad una vicenda singolare, la vostra, che sarebbe un peccato andasse smarrita.
C’è da chiedersi infatti se l’Italia sia mai stata aiutata davvero a mettere a fuoco il ruolo cruciale che hanno avuto questi paesi del lungo Piave, in particolare durante le due grandi guerre mondiali: bersagliati, sventrati, deprivati di tutto, dispersi, in una parola: crocifissi. Barriere umane che hanno pagato un obolo ingentissimo alla libertà e all’indipendenza del nostro Paese. Per due volte nell’arco di trent’anni. E Negrisia ne fa testo.
Ebbene, ad attraversare insieme a voi questi due terribili conflitti mondiali, che nulla vi hanno risparmiato, furono inviate, una dopo l’altra, due figure di preti gigantesche: don Antonio Lanzarini, presente a Negrisia dal 1904 al 1943 e in questa chiesa infine sepolto, e a seguire appunto don Giovanni Daminato, arciprete dal 1943 al 1978, e morto nella castellana quattro anni dopo, nel 1982.Sembra quasi che i due grandi vescovi tarvisini del ‘900, Longhin e Mantiero, abbiano inteso farsi perdonare la trascuratezza in cui a partire dal 1400 era caduta la pieve di Negrisia, inviando qui uno dopo l’altro due preti di eccezionale caratura che, nelle prove della storia, dimostrarono di essere dei formidabili, tetragoni plebis defensores.
Voi stasera con iniziativa provvida intitolate la piazzetta adiacente la chiesa parrocchiale al secondo di questi sacerdoti, don Giovanni Daminato, per la cui memoria e per il cui suffragio abbiamo testé pregato.
Si può parlare – chiedo a me stesso − di un sacerdote che non hai conosciuto? Sì, ad alcune condizioni penso che si possa farlo, se si riesce cioè a far parlare la sua testimonianza. E come può un defunto dare ancora testimonianza? La dà mediante ciò che egli era, il modo in cui è vissuto nelle diverse stagioni della sua vita, il come ha operato. Ma la dà anche mediante i vivi: mediante coloro che facevano parte della sua vita. Mediante coloro che ha lasciato orfani. Ed ancora, mediante l’ambiente al quale apparteneva. Don Giovanni lo fa mediante voi, dunque, mediante il gesto di riconoscenza che voi stasera compite.
Ma perché allora Comune e Parrocchia, interpretando voi popolo di Negrisia, e più ampiamente la comunità di Ponte di Piave, hanno deciso questo gesto?
Evidentemente per il modo in cui don Giovanni è vissuto, e il come egli ha operato. Quando fu nominato parroco, proveniva da sei anni di segreteria personale del Vescovo Mantiero, pastore magnanimo, apostolo della carità, che non scappò da sotto le bombe, e si spese per i poveri, dandosi tutto a tutti, come ben illustra la recentissima biografia scritta da monsignor Lino Cusinato. Non si sta, da giovane prete, sei anni con un personaggio del calibro di Mantiero senza acquisirne un po’ la cifra interiore. Di suo, don Giovanni, aggiunse decisività, intraprendenza, forza realizzativa, severità anche, rigore, senza tuttavia mai smettere di concepirsi – specie in periodo di guerra − a soccorso dei bisogni nascosti e pubblici delle persone e delle famiglie. Non temeva di chiedere quando si trattava di farsi tramite. E più ancora fu cesellato dallo zelo per le anime. Dall’ansia per la salvezza integrale – spirituale e materiale − della sua gente. Giunse a Negrisia – ripeto – nell’autunno del 1943, nel pieno della 2a guerra mondiale. Dato, questo, da tenere presente.
Ebbene, egli ci ha lasciato un Diario sorprendente della sua missione qui a Negrisia. Un Diario assiduo e minuzioso soprattutto per quel che riguarda gli anni della guerra e del dopo guerra. Scritto a mano, è un testo di una forza incredibile. Guai a rimetterlo nel cassetto, questo testo. Ciclostilatelo (si sarebbe detto anni fa), mettetelo in circolazione, leggetelo la sera, da soli o in compagnia, fatevi riferimento al catechismo, imbastite laboratori su di esso al grest. Fatelo scoprire ai giovani e ai meno giovani, tutti devono conoscere in presa diretta che cosa è avvenuto in questo territorio. Cosa è stata qui la guerra, il fascismo, la discesa dei nazisti, l’occupazione delle vostre terre, la lotta partigiana, le infiltrazioni spionistiche, il profugato, la miseria nera, la distruzione, le uccisioni. E poi, con la Liberazione, la risalita, la ricostruzione progressiva, inarrestabile. La rifioritura di questo paese.
Noi non siamo passatisti, ma conoscere la storia significa aprire le saracinesche attraverso cui passa l’humus vitale della consapevolezza, le energie delle radici, quelle che puntano alle foglie, ai fiori, al futuro.
Sapete che cosa mi ha colpito di più in questo manoscritto? L’acutezza dell’Autore nel cogliere il senso dei giorni, come uno storico o un giornalista non saprebbero fare di meglio. Mentre vive i fatti della grande storia, qui storicizzati, qui geograficamente contestualizzati, egli li qualifica esattissimamente senza alcuna sbavatura o approssimazione negli stessi termini che scomoderanno poi, nei decenni successivi, gli storici di professione. In queste pagine c’è Negrisia, ma non solo. L’occhio ad esempio non abbandona mai Treviso. La narrazione che don Giovanni fa di quel bombardamento del 7 aprile 1944 che ferì a morte Treviso, è qualcosa di stupefacente. Come poteva essere così preciso e documentato (quasi fotografico), lui che viveva quei fatti da Negrisia, guardando i colori del cielo squarciato dagli attacchi aerei? Egli aveva un’apertura «cattolica». Viveva qui ma guardava a tutta la sua diocesi e a Roma, sede del Papa, allora Pio XII, a cui si ispirava. Ad esempio descrive con emozione l’uscita del Pontefice dal Vaticano per andare a San Lorenzo fuori le Mura a consolare i romani bombardati. Evidentemente trovava analogie con la sua condizione qui a Negrisia.
Ma sbaglierei se dessi l’impressione che egli era un osservatore e basta. Lui era un prete sul campo, che affiancandosi al suo popolo sul fronte delle traversie più scoraggianti, non rinunciò da subito a dispiegare quello che chiama il suo “nuovo e difficile lavoro apostolico”. E mentre nulla gli sfugge di quanto succede in paese e nei dintorni, delle ingiustizie che si perpetrano, delle violenze che si consumano, da subito nulla tralascia di quelle tipiche modalità in cui si esplicava allora la pastoralità della Chiesa trevigiana. Come se l’attività liturgica ed educativa fosse, in tempi di emergenza e di pericolo, lo scudo che più poteva proteggere dalle incursioni guerresche. Così, comincia − appena arrivato − con la solenne consacrazione della parrocchia al Cuore di Maria, accompagnata da “ferventi preghiere al Signore per la pace nel mondo”; subito seguono le sue prime intense celebrazioni natalizie; a gennaio del ’44, la valorizzazione delle festività di San Sebastiano e Santa Agnese, a febbraio quelle della Madonna di Lourdes e San Valentino. Nello stesso mese si tiene la prima missione al popolo del suo parrocato, predicata da un carmelitano del convento di Treviso. Missioni che si ripeteranno all’incirca a distanza di due anni, insieme agli esercizi spirituali «semichiusi» (semiresidenziali). Ordinarietà e straordinarietà della pastorale che si intrecciano e si alimentano a vicenda. E intanto arrivavano i primi carri di ghiaia per il costruendo asilo di Fossadelle. La guerra infatti coi suoi colpi mortali non poteva prevalere sull’ardimento spirituale, sull’intraprendenza educativa, non poteva fermare la voglia di futuro. L’animo del pastore plana da vicino e va lontano con una progressività cui nulla scappa. E intanto denuncia il costo della vita molto alto, con il sorgere del mercato nero e l’approfittamento di alcuni a fronte dell’impoverimento di molti. “Contro questi approfittatori eleva la sua voce di giustizia la Chiesa”, scrive nella sua cronaca don Giovanni. Che voleva dire che lui vegliava sulla sua gente e incoraggiava gli atti di giustizia che nelle condizioni date si potevano mettere in campo per fermare questi approfittatori.
Si potrebbe dire che l’opera di don Daminato si dispiega come a cerchi concentrici. Al centro, fulcro di tutto, c’è la celebrazione dei santi misteri, la cura della vita sacramentale, quindi la valorizzazione dell’anno liturgico con i suoi appuntamenti caratteristici ma anche molto contestualizzati nell’ambiente. Successivo cerchio, l’iniziativa caritativa e missionaria, l’andare incontro ai più bisognosi che erano davvero tanti a motivo della guerra, il curare le condizioni igieniche ad un certo punto anche per far fronte all’epidemia di febbre tifoide: faceva in quella lunga stagione da smistatore del «beneficio» e dei benefici, quello che riceveva lo distribuiva. Incoraggiando col suo esempio ad una generosità che oltrepassava i confini e arrivava là dove la guerra o altri eventi (ad esempio l’alluvione del Polesine) di volta in volta faceva più male. Così come spronava all’accoglienza in paese dei profughi dalla Treviso bombardata. Era l’opera di promozione umana, inseparabile dal Vangelo.
Ma appena la guerra finisce, eccolo farsi interprete, con una prontezza sorprendente, di nuove attese. E siamo all’ulteriore cerchio, di quelle attività di cultura popolare che fossero di risollevamento dopo la desertificazione bellica, ma anche di sano divertimento. Così si ha l’istituzione di una scuola di cultura e l’incitamento alle adunanze delle varie associazioni, l’attenzione ai libri e l’incoraggiamento alle suore Paoline perché andassero per le case a far conoscere il Libro sacro. Quindi l’istituzione della schola cantorum e della banda paesana. Ma anche l’allestimento di una sala cinematografica e teatrale, che anticipasse l’intraprendenza di qualche laicone che voleva insediarsi in paese con una programmazione di spettacoli ritenuti da lui insani e perniciosi.
Insomma, il mitico campanile di Negrisia, per la cui edificazione egli tanto si prodigò, era come la punta del compasso ben conficcata a terra mentre l’asticella mobile si muoveva senza sosta toccando tutti gli interessi di una popolazione agricola. E intanto metteva a terra opere sempre nuove: oltre che il restauro, la decorazione e la pavimentazione della chiesa parrocchiale, la messa a punto della chiesetta cimiteriale, l’ampliamento della scuola dell’infanzia, la costruzione dell’asilo di Fossadelle, la costruzione della casa della Dottrina, la costruzione del patronato delle Acli con allegato bar (buffet lo chiama), opera che lui sente molto. Non c’è ambito in cui non abbia lasciato il segno. Si lascerà sfuggire, mentre scrive, un guizzo di vanità: il complesso delle opere parrocchiali ormai presenti in Negrisia è paragonabile “ad un piccolo Vaticano per la completezza di quello che occorre per il buon funzionamento della vita cattolica in parrocchia” (7/7/1957).
Il che però dice anche di una sensibilità spiccata che egli aveva sul versante sociale, sul fronte del lavoro con la promozione di una cooperativa di lavoro, della cantina sociale, del laboratorio di maglieria e ricamo per ragazze, del magazzino agricolo, della farmacia rurale, dell’ufficio postale, financo della pesa pubblica. Insomma nulla tralasciava di ciò che poteva essere di riscatto e promozione della propria gente. Fino alla dimensione civica. Con la formazione di un laicato consapevole, pronto, collaborativo. Voi li avete presenti i volti di questi suoi aiutanti, sono i vostri nonni, i vostri papà, i vostri zii…L’attenzione pignola che egli presta agli appuntamenti politici va intesa per quello che essa allora era. Difesa cioè delle condizioni di libertà e della ”ultramillenaria” civiltà cristiana. Quando nel 1956, alle elezioni amministrative, la Dc locale ha un’affermazione netta e indiscutibile, egli scrive: “Vittoria schiacciante del pensiero cristiano”. Ecco questa è la chiave. I preti del suo genere non si scaldavano per le sorti del partito in sé, ma per ciò che la sua affermazione implicava sul piano non solo del costume bensì della visione, della prospettiva, del pensiero appunto. Per loro il civile, la politica rientravano nella necessaria opera missionaria.
Molto altro dovrei − e mi piacerebbe − dire, ma devo fermarmi. Lietissimo di aver «incontrato» questo prete e di scorgere qui, ora, la sua impronta dal vostro profilo. Alcuni mesi fa, trovandomi a Piombino Dese per ricordare un vostro illustre compaesano, don Aldo Roma, non trovai di meglio che evocarlo attraverso una frase che Giovanni Paolo II aveva pronunciato a Riese Pio X, durante la sua visita pastorale nel giugno del 1985. Sentitelo questo passo: “Se la terra trevigiana è stata una delle culle del movimento cattolico italiano e se in essa presero vita nel corso dell’ultimo secolo esperienze sociali di grande valore propulsivo nel campo della solidarietà e della cooperazione, come in quello dell’apostolato sociale, lo si deve, e non nella misura più ridotta, ad una certa qualità del clero dalla tempra forte: educatori e pionieri, testimoni e trascinatori nelle virtù dell’essere prima che nello zelo del fare. Preti umili ed eroici, attaccatissimi alle loro comunità, suscitatori generosi ed inarrestabili di protagonisti alla vocazione laicale. Voi ne avete certo conosciute di simili querce e il loro ricordo non potrà andare disperso, la loro testimonianza non potrà essere scordata”.
Mi commuove il pensiero che don Aldo abbia potuto crescere − lui pure − come quercia perché aveva avuto a sua volta, nei suoi anni giovanili, sotto i propri occhi, due esemplari di queste querce, don Antonio Lanzarini e appunto don Giovanni Daminato.
Alla loro ombra noi, noi ancora oggi, troviamo refrigerio, e salendo sulle loro frasche possiamo, aguzzando lo sguardo, guardare lontano. Puntare al futuro.
Grazie.
Dino Boffo

 

 

    

L'Amministrazione comunale di Ponte di Piave e la Parrocchia di San Romano di Negrisia 

invitano la cittadinanza 

alla cerimona di inaugurazione della Piazzetta intitolata a

DON GIOVANNI DAMINATO

Giovedì 28 luglio 2022 

Chiesa Arcipretale di Negrisia

Ore 19.00 

Santa Messa presieduta dal Vescovo Tomasi, S.E. Mons. Michele

Presentazione della figura di Don Giovanni Daminato a cura del giornalista Dino Boffo (già direttore di Avvenire e TV2000)

Cerimonia di inaugurazione della Piazzetta

Segue rinfresco comunitario

 

BIOGRAFIA DI DON GIOVANNI DAMINATO

Don Giovanni Daminato è stato amatissimo Parroco della Chiesa Parrocchiale di San Romano a Negrisia.

Nato a Castello di Godego il 20 marzo 1911, venne consacrato sacerdote l'8 luglio del 1934.

Il suo primo incarico, quale Cappellano, lo svolse a Salzano fino al 1937 per divenire in seguito Segretario del Vescovo di Treviso, Mons. Mantiero fino al 1943, anno in cui venne a mancare l'Arciprete Don Antonio Lanzarini benemerito Parroco della Parrocchia di Negrisia di Ponte di Piave.

Il 2 ottobre 1943, Don Giovanni Daminato venne destinato a divenire la guida spirituale di "una comunità modesta e generosa, avvezza al lavoro e provata dlla sofferenza, ma sempre tenace nella sua fede in Dio e nelle tradizioni" come ebbe a scrivere Mons. Costante Chimenton, professore del Seminario di Treviso, nella pubblicazione del 1926 "Negrisia di Piave e la nuova Chiesa di San Romano".

Arciprete per 35 anni, Don Giovanni Daminato ha lasciato un'immagine indelebile tra i suoi parrocchiani che ancor oggi ricordano, attraverso le sue opere, il suo zelo e la sua attività instancabile, la propensione al sostegno, sia spirituale che materiale verso gli ultimi i più poveri, i malati e gli anziani, ma anche tutte le attività rivolte ai bambini ed ai giovani di modo che "vengano sempre indirizzati verso il bene" come egli stesso amava spesso dire.

Durante tutto il suo apostalato ha reso testimonianze di fede operosa non solo attraverso gli insegnamenti dei precetti religiosi, ma anche tramite instancabili opere di attivia solidarietà che, con intelligenza e lungimiranza, hanno migliorato la vita civile di tutte la comunità.

Diversi sono stati gli interventi che negli anni Don Giovanni Daminato ha commissionato: il restauro della pavimentazione della Chiesa parrocchiale, la chiesetta cimiteriale, l'ampliamento della scuola dell'infanzia, il patronato e il bar quale il locale di ritrovo ACLI, la pesa pubblica, divenne primo azionista della Cantina di Ormelle fondata nel 1958 divenuta in seguito cantina sociale, istituì anche la Schola cantorum di voci maschili sia adulti che ragazzi, diretta, negli anni, dai maestri Lorenzon, Zanchetta, Tomè e Brisotto.

Moltissimi e anonimi gli interventi in soccorso delle famiglie che a lui si rivolgevano sia per consigli e supporti morali nei momenti più tristi di difficoltà e dei lutti sia per concreti aiuti materiali elargiti con dignità e l'affetto di una padre di famiglia.

Affetto e riconoscenza che, memori del bene ricevuto, riconosciamo ad un grande Parroco, un uomo di chiesa divenuto parte integrante non solo della sua frazione tanto amata, ma di tutta la comunità di Ponte di Piave



news pubblicata il lun 01 ago 22